Giovanni Palatucci – Tavola rotonda PUG, 21 maggio 2019

 

 

 

 

 

Vorrei innanzi tutto ringraziare P. Vitale Savio e la Pontificia Università Gregoriana per questo invito a parlare molto brevemente sullo stato della causa del Servo di Dio Giovanni Palatucci (1909-1945) dal punto di vista della sua Postulazione, affidata alla Compagnia di Gesù. Quando parlo della nostra Postulazione Generale mi riferisco al Postulatore –io stesso-, ma anche alla Dottoressa Valeria Torchio, che lavora con grande impegno come collaboratrice permanente nella stessa dal 2002.

 

Per noi la storia della causa comincia nel febbraio 2014, quando il P. Vitale Savio si reca dal mio predecessore, P. Witwer, affinché la Compagnia di Gesù possa assumere questa causa. Dopo l’approvazione del P. Superiore Generale Adolfo Nicolás, la Postulazione della Compagnia di Gesù ha assunto ufficialmente la responsabilità di seguire gratuitamente il coordinamento della causa nella sua fase romana. È stato soprattutto il P. Marc Lindeijer, S.J., allora Assistente del Postulatore Generale, a seguire molto da vicino il percorso di questi anni fino alla sua partenza da Roma. Il mio lavoro è cominciato nel settembre 2017.

 

Se non sbaglio, al momento presente l’“Associazione Giovanni Palatucci” funge da Attore della causa e Mons. Roberto De Odorico ne è il Presidente. Dall’altro lato, la “Fondazione Amici di Giovanni Palatucci” sarebbe anche responsabile –fra altri incarichi– degli aspetti finanziari; il P. Vitale Savio è il suo Presidente. Vorrei ricordare che il rapporto tra le due associazioni è molto importante per garantire la continuità –anche dal punto di vista economico– della causa.

 

Già nel febbraio 2014, il P. Adolfo Nicolás aveva scritto all’Associazione che la Postulazione della Compagnia era carica di impegni –attualmente abbiamo un contatto regolare con 50 cause fra le 80 circa che sono nel nostro ufficio– e non era in grado di assumersi la responsabilità della stesura della Positio sulla straordinaria figura di Giovanni Palatucci. Al momento stiamo facendo la revisione del lavoro svolto dai diversi collaboratori della causa e prendiamo cura del rapporto con la Congregazione delle Cause dei Santi, dove il nostro relatore è il P. Vincenzo Criscuolo, Relatore Generale della detta Congregazione.

 

Adesso vorrei condividere con Voi le informazioni sullo status quaestionis della causa. La Postulazione si avvale per la redazione finale della Positio super martyrio di diversi collaboratori esterni, scelti dalla Associazione e dalla Fondazione a partire dal 2014 fino ad oggi.

 

La Positio super martyrio si scrive a partire dai cinque volumi della Copia Pubblica, che raccoglie il lavoro diocesano precedente fatto a Roma. Tale Positio è articolata in diverse parti. Indico le più importanti:

 

Prima, l’Informatio, che racconta il martirio del Servo di Dio. È vero che c’è una difficoltà nel provare il martirio del Dott. Palatucci, perché il motivo dichiarato dai tedeschi per il suo arresto non fu la fede o un’annessa virtù (cioè, l’odium fidei), ma la collaborazione, cospirazione e intelligenza con il nemico, con delitto di alto tradimento. Per provare il martirio abbiamo, dunque, bisogno di fonti storiche ed archivistiche. Per fortuna, il caso Palatucci non è il primo dal tempo dei nazisti presentato alla Congregazione delle Cause dei Santi per il suo giudizio.

 

Siamo anche consapevoli delle polemiche che riguardano il nostro Servo di Dio, e che non possiamo affrontare adesso, come ad esempio l’apparizione di una targa diffamatoria contro Palatucci nel 2015 a Dachau, o nel 2013 il giudizio del Centro “Primo Levi” del questore di Fiume come “un pieno esecutore delle leggi razziali”, al quale fa riferimento molto accuratamente il Prof. Pier Luigi Guiducci. Come egli dice, questo intervento della direttrice del Centro è stato contestato da parecchi studiosi della Shoah, soprattutto a partire da documenti e testimonianze in favore di Palatucci. Anche nel febbraio del 2015 il Memoriale dell’Olocausto Yad Vashem ha confermato il titolo di “Giusto” a Palatucci, per avere aiutato tantissimi profughi ebrei perseguitati. Il questore di Fiume fu deportato il 22 ottobre 1944 nel famigerato campo di sterminio di Dachau; dopo quattro mesi di stenti e di sevizie, stremato, morì il 10 febbraio 1945; il suo corpo fu gettato in una fossa comune.

 

All’interno dell’Informatio è contenuta la biografia del Servo di Dio, che non è stata ancora consegnata alla Postulazione. Lo studio del contesto storico in cui si svolse la vita del Palatucci ed ebbe luogo il suo martirio, molto rilevante in questo caso, dev’essere incluso nella biografia.

 

A continuazione si fa riferimento al martirio “materiale” (ossia tutto l’insieme delle circostanze che hanno portato alla morte del Dott. Palatucci come è successo realmente), al martirio formale ex parte persecutoris ed ex parte Servi Dei (cioè, come l’evento martiriale è stato vissuto da entrambe le parti).

 

Dopo si presenta un’analisi delle virtù del Palatucci. Come sappiamo, la causa è stata introdotta privilegiando la via del martirio, ma –come ha indicato il P. Francesco Stano- si fa ugualmente attenzione alla via delle virtù eroiche, perché il Servo di Dio potrebbe essere anche di esempio specialmente nel campo della Pubblica Sicurezza (ieri; oggi, Polizia di Stato) come modello di vita evangelica, non soltanto per l’Italia ma per qualsiasi paese. Sarebbe un esempio abbastanza attuale del modo di procedere dei diversi incaricati dell’ordine pubblico. Fra le virtù esercitate dal Palatucci possiamo sottolineare: fede autentica e profonda esperienza religiosa; speranza nel futuro di Dio, rischiando la sua vita per solidarietà con gli ebrei; carità, anteponendo la vita altrui ai propri interessi e progetti personali. E così con il resto delle virtù cristiane.

 

Infine, si esamina la sua fama di martirio e di segni dal momento della morte fino ad oggi. Da questo punto di vista sono di aiuto diverse azioni: ad esempio, la sua strategica sistemazione nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola; la distribuzione delle immaginette; tutti gli atti pubblici come questo di oggi che possano organizzarsi; la composizione dell’inno a lui dedicato da parte della compositrice Florence Astaire; o, ancora, la pubblicazione di libri, come quelli che sono stati scritti su di lui in questi ultimi anni. Della possibilità di un miracolo accaduto grazie alla sua intercessione, abbiamo una traccia che risale al 2003, ma senza ulteriori sviluppi.

 

Dopo l’Informatio segue il Summarium testium, composto da Mons. De Odorico, che comprende preziosissime testimonianze sul martirio e la fama di martirio del Servo di Dio, anche con una valutazione critica del loro contenuto.

 

La terza parte rilevante della Positio è il Summarium documentorum, la cui redazione è affidata all’Avvocato Hylda Petrosillo, collaboratrice della causa dall’anno 2017. L’apparato documentario è ricco e ben organizzato, ma non è ancora finito. È stato composto a partire dal Fondo Palatucci, che contiene molta documentazione raccolta nel corso degli anni. Si sono ricercati infatti, per anni, documenti attinenti alla vita e al martirio del Servo di Dio in diversi archivi della città di Fiume. Possiamo citare qui la collaborazione del “Gruppo di ricerca su Fiume-Palatucci 1938-1945”, istituito nel 2013 fino al 2015 dalla “Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea” (CDEC), su richiesta dell’“Unione delle Comunità Ebraiche Italiane”.

 

Il Summarium documentorum include alcuni documenti che contengono elementi di testimonianza di alto valore per la figura del Servo di Dio, testi che sono stati raccolti dopo l’arrivo della causa alla sua fase romana. Infatti, la documentazione propria della Inchiesta diocesana a Roma è ampia, anche se non tanto completa. Fra altre persone, l’Avvocato Antonio De Simone Palatucci –nipote del questore di Fiume- ha aiutato a completare la base documentaria. Insieme con l’Avvocato Petrosillo, la Postulazione ha cercato, per esempio, altri documenti come quelli sul periodo scolastico del Servo di Dio.

 

Non vorrei terminare questo veloce intervento senza ricordare la generosa collaborazione del Prof. P. L. Guiducci, che anni fa aveva costituito a Roma una “Commissione di Studio” sulla figura e l’operato del Dottore Giovanni Palatucci, e che recentemente ci ha inoltrato uno scritto di aggiornamento storico molto ricco, la cui base è la ricerca su Palatucci dopo i lavori della “Commissione Guiducci” (2010-2015), presso l’Università Lateranense di Roma.

 

Una volta che le diverse sezioni della Positio saranno pronte e poi rivedute dalla Postulazione e dal relatore della causa, l’intera Positio sarà consegnata alla Congregazione delle Cause dei Santi per il suo opportuno studio e giudizio.

 

Grazie.

 

p. Pascual Cebollada s.j.

 

 

 


 

 

PONTIFICIA UNIVERSITA’ GREGORIANA

 

Ciclo di Conferenze – Secondo Semestre

 

 

 

 

 

 

 

FORUM

 

I MARTEDI ALLA GREGORIANA

 

 

 

 

 

GIOVANNI PALATUCCI

 

L’UOMO DELLE BEATITUDINI

 

 

 

 

 

 

 

RELAZIONE

 

 

 

DOVE FINISCE IL DOVERE INIZIA LA SANTITÀ

 

Resistere al male facendo del bene ad ogni costo

 

 

 

 

 

 

 

 

Primo Dirigente della Polizia di Stato Dott. Raffaele Camposano

Direttore dell’Ufficio e Museo Storico  della Polizia di Stato

 

 

PONTIFICIA UNIVERSITA’ GREGORIANA

 

 Roma, 21 Maggio 2019

 

 

 

 

 

DOVE FINISCE IL DOVERE INIZIA LA SANTITÀ

 

Resistere al male facendo del bene ad ogni costo

 

 

 

Confrontarsi con la vita e la figura di Giovanni Palatucci è sempre un miracolo di luce che mi aiuta a progredire nel percorso di affinamento interiore e, al tempo stesso, professionale.

 

Discorrere di umanità, doveri, coraggio, sacrificio, santità, allorquando ci si confronta col vissuto dei Martiri per la fede, come nel caso del Servo di Dio, Giovanni Palatucci, non è agevole essendo questo uno sforzo paragonabile all’ascesa ad un monte misterioso ed impervio, all’apparenza quasi del tutto invalicabile, a cui si è chiamati, talvolta inconsapevolmente, per dare un senso alla propria esistenza. 

 

E’ una esperienza comune ad ognuno di noi e, perciò sperimentabile concretamente, ecco perché ne parlo con convinzione, che ci arricchisce, seppure a costo di enormi sacrifici, a condizione che ci si interroghi continuamente sul proprio ruolo e sulla capacità di incidere nella realtà, facendo appello a tutte le risorse, nessuna esclusa, che la volontà, l’intelligenza, la conoscenza ci forniscono per renderci protagonisti e costruttori di futuro e di speranza.  

 

Solo restando nell’umiltà, nell’ascolto degli altri, nell’obbedienza ai propri doveri e principi, si ha modo di riflettere e di interrogarsi sul proprio destino e comprendere meglio quello degli altri, nella loro dimensione di esseri umani creati ad immagine e somiglianza dell’Unico Padre celeste.

 

Come credente ho il privilegio di avvicinarmi e di sfiorare il mistero della fede, pregustare nella vita quotidiana la grazia e la misericordia che Dio riserva ai suoi servitori fedeli; in quanto leale servitore dello Stato, Dirigente della Polizia di Stato, ed è in questa veste che mi presento a Voi oggi, ho, invece, l’onore di prestare servizio in difesa dei cittadini e delle Istituzioni che è anch’essa una forma di AMORE, seppure declinata nella dimensione del rispetto per la giustizia, della legalità e della solidarietà.

 

La mia, dunque, è una prospettiva privilegiata, oserei dire originalissima, sebbene soggettiva, che mi fa riflettere e agire di conseguenza, orientandomi nel presente con tutto il mio bagaglio di idealità, umanità, esperienza e cultura, sedimentati in più di cinquant’anni di vita e in trent’anni di professione in quanto poliziotto.

 

Da questa ottica io parto per scalare la cima della “Montagna Palatucci”, senza la cui guida ed ispirazione nulla potrei comunicarVi oggi.

 

 

 

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Se si vuole veramente comprendere Giovanni Palatucci e il suo percorso di santità il passo obbligato da compiere è ricostruirne la figura di uomo e di poliziotto, senza la quale si rischierebbe di lasciarsi sfuggire elementi e circostanze della sua missione terrena che lo orienteranno, poi, fino alla serena accettazione del martirio nel campo di sterminio di Dachau.  

 

Interrogandomi su quale potesse essere il titolo da dare al mio intervento odierno, ho optato per questo incipit che mi è servito da ispirazione e motivazione nello svolgimento del mio pensiero: Dove finisce il dovere inizia la santità: resistere al male facendo del bene ad ogni costo.”

 

Ne capirete il motivo  in seguito!

 

          E’ possibile estrinsecare il pensiero di Palatucci facendo riferimento ad alcune sue espressioni, che sono, sovente, riportare nelle pubblicazioni a Lui dedicate. Esse denotano un carattere fiero e determinato, un coraggio fuori dal comune, un credo religioso autentico e profondo che lasciano trasparire la tensione morale, il dissidio interiore che ne hanno caratterizzano la breve esistenza.

 

          Proverò a differenziare, fin dove sarà possibile, il poliziotto Palatucci dal patriota e dal Martire per amore, anche se detta esemplificazione è utile solo ai fini espositivi.

 

          In realtà, la personalità del penultimo Questore Reggente di Fiume italiana è un tutt’uno e risente fin dall’infanzia degli ammaestramenti e degli esempi ricevuti in ambito familiare.

 

          Non è escluso che ha incidere sul suo temperamento sia stato anche il luogo di nascita, Montella, in provincia di Avellino, ambiente poco incline alle novità e alle ambizioni legittime di un giovane volitivo ed intraprendente quale era Giovanni.

 

Educato fin da piccolo alle cose grandi dello Spirito dalla nonna materna, Carmela, terziaria francescana, morta in concetto di santità, e dagli zii Antonio e Alfonso e Giuseppe Maria, quest’ultimo divenuto, poi, Vescovo di Campagna, in provincia di Salerno,  tutti consacrati alla vita religiosa, Palatucci tenta di conciliare la sua naturale vocazione al Bene con le aspettative di vita e di carriera .

 

Due anni dopo aver conseguito il diploma di maturità classica al Liceo “Tasso” di Salerno, adempie il servizio militare, come ufficiale di complemento, a Moncalieri, in Piemonte.

 

Si laurea in Giurisprudenza alla Regia Università di Torino nel 1932.

 

Il papà avrebbe voluto che diventasse un valido e stimato avvocato, ma Giovanni, contrariamente alle aspettative paterne decide di abbandonare la pratica legale per intraprendere la corriera in Polizia, più rispondente alle sue idealità e, soprattutto, al bisogno crescente di giustizia che lo stava conquistando.

 

Detta scelta, che comportò non pochi attriti e incomprensioni tra padre e figlio, più che attribuirsi al desiderio, dopotutto innegabile, del giovane Palatucci di sottrarsi alla volontà e al controllo paterno, risentiva di una maturazione interiore in controtendenza rispetto a quella di altri coetanei, molti dei quali inclini più al prestigio sociale e alla carriera facile, spesso assicurata  dall’appartenenza all’unico partito egemone del momento, il Fascismo, che a una professione svolta nell’interesse della collettività e non solo per la prospettiva di lauti guadagni.   

 

 

 

IL POLIZIOTTO: GENOVA 1937

 

 

 

Fu così che nel 1936, all’età di ventisette anni Giovanni Palatucci, dopo aver frequentato il 14° Corso di Formazione per Funzionari di P.S., viene assegnato alla Questura di Genova con la qualifica di Vice Commissario Aggiunto in prova di P.S., dove prende servizio il 3 agosto.

 

Non è, tuttavia, un inizio felice per la sua carriera.

 

Il carattere troppo generoso e dinamico del giovane Palatucci è mal sopportato da alcuni suoi colleghi di lavoro, che non perdono occasione per metterlo in cattiva luce col Questore.

 

  Egli soffre per l’eccessiva burocratizzazione del servizio di polizia, le troppe lungaggini procedurali, le energie sprecate a fronte degli scarsi risultati conseguiti:

 

“Con l’andare del tempo si finisce per vivere distaccati dal mondo, proprio da quel mondo che noi, per evidenti ragioni di servizio, si dovrebbe far di tutto per conoscere e approfondire. Se qualcuno di noi si mostra in un ritrovo mondano, si parla subito di vita spendereccia, se frequenta certi speciali ambienti, si sospetta che abbia delle ragioni non palesi e poco chiare per farlo. Cosi si diventa burocrati, peggio di un impiegato del catasto.[…] Se invece di tenerci chiusi negli uffici, ci mandassero in mezzo alla gente, ci mettessero a contatto  con la vita, ci facessero vedere il mondo com’è! Si conceda la fiducia al funzionario e se qualcuno si diffida, lo si allontani: ma non si sprechino tante energie a far la polizia alla polizia.[…] La Polizia è vita, quella vita che serve per aiutare il prossimo e soccorrere i bisognosi!”[1] .

 

Dichiarazioni come queste, incautamente affidate ad un giornalista, che le pubblicherà su un giornale locale, seppure senza rivelarne la fonte, per poco non gli valsero la destituzione dal servizio.

 

            In un sistema dittatoriale e quasi totalmente fascistizzato, dove il dissenso veniva fatto pagare a caro prezzo, ci poteva mai essere spazio per l’anticonformismo di un giovane e scomodo funzionario di polizia?

 

            La punizione esemplare, come è facile attendersi, sarà inevitabile ed immediata: l’allora Capo della Polizia Arturo Bocchini, decreterà il suo trasferimento punitivo a Fiume, italiana dal 1924, oggi in territorio croato,  sede ritenuta allora scomoda per dargli modo di riflettere sul passo falso compiuto. Il piano provvidenziale a lui riservato dall’Onnipotente prenderà l’avvio proprio da questo primo e inaspettato incidente di carriera.

 

E’ proprio vero quello che scrive Bossuet: “Iddio scrive dritto pure sulle righe storte degli uomini!”.

 

“EX FRUCTIBUS COGNOSCETIS EOS”

 

(Matteo 7,20)

 

 

 

Il 15 novembre 1937, Palatucci assume la direzione dell’Ufficio Stranieri della Questura Fiume, città cosmopolita dell’Istria, annessa ufficialmente all’Italia nel 1924 (Patti di Roma), dove aveva trovato rifugio una forte comunità ebraica, trapiantata dall’Ungheria e da decenni, civiltà, culture, religioni e storie diverse avevano imparato a coesistere in pacifica armonia. 

 

Più che farsi trascinare dall’esasperato nazionalismo fascista, che aveva fatto di Fiume il simbolo dell’espansionismo mussoliniano, Giovanni Palatucci, d’indole mite e buona, è portato al rispetto e alla tolleranza verso le minoranze più deboli ed esposte.

 

In tempi normali, le funzioni che avrebbe dovuto esercitare come Responsabile dell’Ufficio Stranieri della Questura  non gli avrebbero richiesto particolare zelo e coinvolgimento emotivo; ma, a seguito dell’entrata in vigore delle leggi razziali, avvenuta il 17 novembre 1938, egli si troverà improvvisamente a decidere della sorte di centinaia di vite, soprattutto di Ebrei italianizzati  (all’incirca 1.786), divenuti improvvisamente “apolidi”.

 

Un dilemma atroce si affaccerà, a poco a poco, alla sua coscienza, che non lo abbandonerà fino alla scelta di campo definitiva a favore del Bene: seguire senza tentennamenti i Comandamenti di Dio o disobbedire alle leggi inique e immorali dell’uomo che implicano la sua stessa negazione.

 

Non sappiano quali siano state le reazioni ufficiali di Giovanni Palatucci alle Leggi razziali.

 

Possiamo solo supporre che, memore dell’esperienza negativa di Genova, il Vice Questore Giovanni Palatucci abbia saputo e voluto celare il suo dissenso per non destare sospetti e compromettere sul nascere le azioni di salvataggio, che aveva già in mente di compiere a favore dei profughi ebrei.

 

L’alternativa per lui sarebbe stata quella di lasciare definitivamente l’amministrazione d’appartenenza; abbandono che gli avrebbe, tuttavia, impedito di fare del bene ora che se ne presentava concretamente il bisogno.

 

Con estrema abilità e coraggio, fidando solo su alcuni leali collaboratori, stende una rete d’assistenza a favore soprattutto dei profughi ebrei provenienti dalle regioni dall’Europa centro-orientale, occupate dalle truppe tedesche.

 

A partire dall’8 settembre del 1943 migliaia di ebrei si sottraggono miracolosamente alla cattura e all’espulsione dall’Italia, grazie al suo intervento costante e temerario, che li salva dalla “soluzione finale” avviata già da qualche anno nei lager nazisti.

 

Molti di questi rifugiati, fatti risultare ufficialmente irreperibili, venivano sistemati in nascondigli sicuri, muniti di permessi brevi o di soggiorno a “fini turistici” e di attestati di arianità falsi per dargli modo di raggiungere più agevolmente la Svizzera, la Palestina (allora sotto protettorato britannico) o le coste pugliesi, già in mano alleata.

 

Quando non era praticabile la via dell’emigrazione, Giovanni Palatucci fa il possibile per avviarli al campo d’internamento di Campagna, in provincia di Salerno, fatto allestire dalle Autorità italiane in due ex conventi.

 

La Provvidenza ha voluto che fosse proprio suo zio, Giuseppe Maria Palatucci, quale Vescovo della Diocesi di Campagna ad assecondarlo nel piano di salvataggio che il nipote, in maniera più organica, aveva già elaborato per i Ebrei.

 

Monsignor Palatucci farà l’impossibile per accoglier sotto la sua amorevole protezione tutti coloro che l’amato Giovannino gli raccomandava, garantendo loro condizioni di vita decorose e soprattutto il rispetto della dignità umana.

 

Chi era Giovanni Palatucci e cosa stesse facendo a favore dei profughi Ebrei, non era, quindi, un mistero per coloro che arrivavano senza più speranza a Fiume; e non doveva esserlo neppure per quanti, spiavano già, da tempo, le mosse di Giovanni.

 

Eppure, incredibile a credersi, nessuno osò tradirlo se non nel giorno del suo arresto, avvenuto il 13 settembre 1944, quando la sua opera fruttuosa poteva considerarsi oramai conclusa e il progetto, che Dio aveva su di Lui, adempiuto.

 

 

 

IL PATRIOTA:  FIUME 1944

 

Dopo l’8 settembre 1943, Fiume come, del resto, tutta la Penisola piomba nel caos più assoluto.

 

La fuga precipitosa del Questore di Fiume induce Giovanni ad un’ulteriore assunzione di responsabilità.

 

Come Questore reggente, egli è più che mai determinato a salvaguardare la dignità e il prestigio delle sue funzioni e a provvedere alla salvezza di quanti reclamano il suo aiuto.

 

“Assunta interinalmente, con la partenza del dott. Tommaselli, la direzione  della Questura, mi è sembrato che i rapporti coi germanici dovessero essere resi più scorrevoli, pur mantenendoli fermamente su un piano di intransigenza in materia di tutela della dignità nazionale e patriottica. [….] E’ fuori di dubbio che Fiume sia oramai diventata una sede di estremo disagio e di continuo, grave pericolo, per l’incolumità e la libertà personale […]. In queste condizioni è verosimile che il personale stia qui malvolentieri. Per giunta esso ha quasi la sensazione di essere abbandonato. Non sente in alcun modo sollecitudine degli organi della Questura. Non trova tutela presso il Prefetto, il quale, dalla data della nomina, non ha ancora visitato la Questura, ed è incapace di svolgere azione efficace per tutelare il prestigio, né si dà pena di assicurare al personale il riconoscimento da sacrosanti diritti. […]. In tali condizioni bisogna essere santi o eroi per tirare avanti onestamente ed attendere alla proprie mansioni con diligenza e zelo. Non si può chiedere agli uomini più di quanto umanamente possano dare, pur tenendo conto del sacro dovere di ciascuno di servire la Patria con spirito di sacrificio , soprattutto  nella tragica vicenda di oggi. Le condizioni di vita sono qui aspre e difficili quanto in alcun’altra città. Qui il costo della vita assume carattere di usura..[…]. Sarebbe iniquo lasciar languire impiegati e uscieri della Questura di Fiume in ristrettezze che si risolvono in denutrizione, […] e permettere il perpetuarsi dell’ingiustizia, che li costringe a dibattersi quotidianamente in difficoltà asprissime, che deprimono lo spirito e abbattono il fisico. Non si potrebbe fare qualcosa per loro? E’ un’opera sacrosanta di equità e di solidarietà umana, e confido che  V.S. Ill.ma vorrà compirla”[2].

 

 

 

Dopo il disfacimento del Regio E.I. e la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, avvenuta il 23 settembre 1943, egli diviene l’ultimo e strenuo difensore di un’altra Italia che, rifiutava di farsi complice dell’olocausto nazista e si augurava finalmente la pace e la fine della barbarie.

 

Mussolini  aveva definito “un errore di umanitarismo”  il rifiuto da parte dei soldati e dei poliziotti italiani di consegnare gli Ebrei ai Tedeschi.

 

Giovanni Palatucci, è, invece, più che mai disposto a perseverare sulla strada del Bene per non piegarsi ad una bieca ragion di stato, poi bollata dalla Storia con ignominia.

 

La resistenza di Giovanni diviene ancora più  evidente ed ostinata allorquando, nell’ottobre 1943, il territorio di Fiume viene incorporato nel cosiddetta zona d’operazione del  “Litorale Adriatico”, vera e propria regione militare sotto il controllo del plenipotenziario della Carinzia Friedrich Rainer, estesa dalla provincia di Udine a quella di Lubiana, all’interno della quale i poteri della stessa RSI erano pressoché inesistenti.

 

Egli intuisce di essere in pericolo ma decide lo stesso di rimanere a Fiume, declinando l’invito accorato rivoltogli del console svizzero di Trieste, suo amico, di riparare in terra elvetica sotto la sua protezione. 

 

“ Il controllo germanico in ogni settore della vita pubblica economia e politica è assoluto ed incontrastato. L’azione della polizia germanica continua ad essere esercitata assai spesso su vasta scala e viene svolta con criterio di durezza e di assoluta mancanza di rispetto per la libertà individuale […] Nulla si può opporre agli abusi ed ai rastrellamenti perpetrati a danno dei cittadini italiani, perché le autorità italiane o rimangono  assolutamente estranee a tali operazioni di Polizia, in quanto ridotte all’impossibilità di una concertazione in tale campo, o le avallano e le appoggiano  mediante opera di delazione, spesso ai fini di vendetta personale. Il Prefetto poi, che potrebbe svolgere almeno opera di moderazione e tutela, è del tutto passivo , sia per mancanza di energia di temperamento, sia perché, come da molti segni lascia desumere,  è attaccato alla carica per motivi di utilità personale […]. Fermamente convinto che la Questura abbia ancora un ruolo importantissimo da svolgere in questo estremo lembo d’Italia, ho dedicato ogni sforzo al proposito di ridarle compattezza negli animi e efficienza nei mezzi”[3].

 

 

 

Ad uno dei suoi più stretti collaboratori, l’Agente ausiliario Americo Cucciniello che l’aveva esortato a scappare da Fiume per mettersi finalmente in salvo, Palatucci risponderà, fissandolo con gli occhi lucidi di commozione:

 

“Dite a tutti gli amici che fin tanto che sventolerà quel Tricolore io rimarrò qui al mio posto”.[4] (estate 1944).

 

Per bloccare qualsiasi tentativo da parte delle SS di elaborare “liste di proscrizione”, Giovanni non esita a distruggere, in maniera sistematica e radicale, i documenti contenuti negli schedari della Questura riguardanti gli Ebrei.

 

Giovanni non rinunzia all’azione e rimane saldamente ancorato alla concezione della sua funzione di poliziotto come “missione”  anche se il suo ruolo di “confidente degli Ebrei” è stato scoperto dagli agenti dell’Ovra e dell’Ufficio Politico della sua stessa Questura.

 

Nonostante i controlli sempre più serrati delle SS e dalla Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), Giovanni non rinunzia ad aiutare gli Ebrei, favorendone la fuga.

 

La sua presenza a Fiume risulta, altresì, preziosa ai partigiani italiani che operano in quella zona in quanto consente loro di conoscere in anticipo i piani dei tedeschi.

 

D’altronde la Resistenza sa di potersi fidare di Giovanni in quanto è nota, da tempo, la sua funzione di “canale” per la salvezza non solo di ebrei italiani e jugoslavi ma di molti antifascisti.

 

Scoperto dalla Gestapo, è tratto in arresto il 13 settembre 1944, forse su delazione, con l’accusa di tradimento e d’intelligenza col nemico.

 

Al termine di un brutale interrogatorio, che non servirà comunque ad estorcergli nessuna rivelazione, viene ristretto nel carcere “Coroneo” di Trieste, dove attende serenamente di essere giustiziato.

 

La condanna a morte, tuttavia, gli verrà commutata in deportazione e il 22 ottobre 1944 viene trasferito nei pressi di Monaco di Baviera, nel campo di sterminio di Dachau,  denominato anche il campo “dei preti” per le migliaia di sacerdoti ivi internati, ove viene registrato con la matricola nr. 117826.

 

Quattro mesi di stenti e di sevizie inaudite bastano a fiaccare definitivamente la resistenza dell’indomito, ultimo Questore di Fiume che si spegne prematuramente all’età di 36 anni.

 

Il corpo di Palatucci viene precipitato in una fossa comune, insieme a quelli di altre centinaia di ebrei, il 10 febbraio del 1945, settant'otto giorni prima della liberazione del lager da parte delle truppe americane (29 aprile 1945).

 

 

 

SERVO DI DIO

 

 

 

Servo per Amore e di nessun’altra passione terrena: questo fu, dunque, Giovanni Palatucci!

 

Il suo fu un martirio che non si consumò istantaneamente ma maturò lentamente a partire dagli anni trascorsi a Fiume fino alla deportazione nel lager di  Dachau; da lui consapevolmente paventato e, alla fine, accettato in nome della Fede in Cristo Gesù: martire che ha vissuto in grado eroico la Carità.

 

Presago, oramai, della sua fine imminente, ha ancora la forza di mostrarsi coerente in ciò che ha creduto come uomo, poliziotto, patriota e credente:  

 

“Sono rimasto saldo nelle mie posizioni: per la Chiesa, per l’Umanità, per la Patria, perché questo è il dovere che m’impone la coscienza e la storia nel servizio del mio popolo, il più derelitto di tutti i popoli di questo mondo”.[5]

 

Al dilacerante dilemma: disobbedire alla legge iniqua dell’uomo o seguire i comandamenti di Dio, Giovanni non esita a dare una risposta precisa e ad agire conseguentemente.

 

Obbedisce alla sua coscienza, aderendo, senza ripensamenti, alla chiamata del Padre che si fa sempre più chiara ed inequivoca.

 

La sua fu un’obiezione di coscienza necessaria, intransigente e totale, che lo porterà inevitabilmente al sacrificio di sé per gli altri.

 

L’importanza della centralità dei diritti dell’uomo è una costante in Giovanni Palatucci e non solo in quanto cattolico.

 

Nella sua tesi di laurea sul nesso di causalità nel Diritto Penale, discussa all’Università di Torino nel 1932, Egli, nell’indagare il confine esistente fra la responsabilità personale del soggetto e l'azione penale, intese sondare i confini dell'agire morale, in vista della salvaguardia dei diritti della persona, tutelati dal diritto.

 

   Convinto assertore dell’eticità della norma e del valore insopprimibile della dignità umana, Palatucci ha anticipato ciò che la cultura giuridica, dopo il secondo conflitto mondiale, ha affermato nell'abbondante giurisprudenza della Corte Internazionale per i diritti dell'uomo.

 

Alla banalità del Male, Egli resiste facendo il bene fino all’estremo sacrificio della vita nella consapevolezza di adempiere non solo ad un dovere morale ma religioso.

 

“ci vogliono dare a intendere che il cuore sia solo un muscolo e ci vogliono impedire di fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano”.[6]

 

Giovanni è consapevole di vivere un’esperienza singolare nell’imitazione di Cristo.

 

Ogni sua parola, ogni sua azione, richiamando la presenza di Gesù, sembrano tradire la sua sete d’Assoluto.

 

Come intrepretare, altrimenti, queste sue affermazioni rivolte ai suoi devoti e leali collaboratori?

 

“Questa è la Signora Schwarz, trattala, ti prego, come fosse mia sorella. No, anzi, trattala, ti prego, come se fosse tua sorella, perché in Cristo è tua sorella”.[7]

 

O quando si rivolgeva con parole ispirata al fidatissimo poliziotto Cucciniello: 

 

Palatucci: “Ti devo affidare queste persone, trattale con spirito di umana solidarietà”

 

Cucciniello: “E se mi scoprono[..] come devo comportarmi?

 

Palatucci: “Devi dire che lo fai per umana solidarietà”[8]

 

Sua Eminenza, il Card. Camillo Ruini, all’apertura del processo canonico per la sua beatificazione, tenutasi nel Vicariato di Roma il 9 ottobre 2002, in maniera esemplare ha riassunto, nel passo che segue, il “martirio per la carità” sofferto da Giovanni Palatucci “…E mentre l’ideologia totalitaria postula l’affermazione della nazione fino a diventare violenza sugli altri, la fede provoca i Giusti a “esistere per gli altri”, come l’Ebreo Gesù di Nazareth, nostro Signore e Maestro. E quanti fanno come Lui, preparano quella Umanità nuova che l’ultimo Questore di Fiume italiana anticipò proprio donandosi, in continuazione e fino al sacrificio estremo, per gli altri. Perciò, nei quattro anni drammatici ma esaltanti vissuti in quella città “la sua anima era già amica dell’infinito”, le forze del male che lo portarono via non riuscirono a estinguere la fede in un mondo nuovo che “in spe contra spem” (Rm 4,18) il Servo di Dio aveva dentro di sé…..La storia gli ha reso giustizia, consegnando la purezza dei suoi ideali e le sue gesta non comuni alla memoria di quanti credono in un futuro migliore e lottano per questo”.

 

 

 

L’ultimo ricordo che si ha di lui ci viene testimoniato dal Sig. Ricciarelli, suo conoscente, sopravvissuto all’inferno di Dachau.

 

All’interno dell’infermeria del lager, Giovanni, oramai all’estremo delle forze e gravemente ammalato (con molta probabilità è affetto da tifo petecchiale), gli sorrise dolcemente ricordando il tanto bene fatto assieme.

 

Nessuna accusa nei confronti dei carnefici e neppure rassegnazione in Giovanni che, prossimo alla fine, continua a trasmettere Amore con un sorriso che è già perdono.

 

Quella di Giovanni Palatucci è per la Polizia di Stato una figura esemplare, è una testimonianza alla Verità ancora viva e palpitante intorno alla quale noi tutti, a prescindere dalle credenze religiose di ognuno, siamo chiamati ad interrogarci non una, ma mille volte ancora.

 

San Giovanni Paolo II ha affermato che il XX sec., più di altre epoche, può definirsi il “secolo dei martiri”, di coloro cioè che hanno partecipato alla passione cruenta di Gesù sulla croce”.

 

Il Servo di Dio Giovanni Palatucci è stato uno di questi, divenendo egli stesso “segno” tangibile dell’adesione assoluta ai valori che rendono la vita degna di essere vissuta.

 

            Lo Stato di Israele, nel 1990, ha riconosciuto Giovanni Palatucci quale “Giusto tra le Nazioni”, il massimo onore che gli Ebrei posso tributare ad un loro simile.

 

Nel 1995, il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro ha conferito a Giovanni Palatucci la Medaglia d’Oro al Merito Civile, alla memoria, in occasione della 143° Anniversario della Fondazione della Polizia, con la seguente motivazione:

 

“Funzionario di Polizia, Reggente la Questura di Fiume. Si prodigava in aiuto di migliaia di Ebrei e di cittadini perseguitati, riuscendo ad impedirne l’arresto e la deportazione.

 

Fedele all’impegno assunto e pur consapevole dei gravissimi rischi personali continuava, malgrado l’occupazione tedesca e le incalzanti incursioni dei partigiani slavi, la propria opera di dirigente, di patriota e di cristiano, fino all’arresto da parte della Gestapo e la sua deportazione in un campo di sterminio, ove sacrificava la sua giovane vita”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] “Giovanni Palatucci il Questore “giusto” di P. Vanzan pagg. 31-33

 

[2] Lettera di Giovanni Palatucci indirizzata al Capo della Polizia della RSI, Tullio Tamburini del 10 maggio 1944, tratta da “Giovanni Palatucci il  Questore “giusto” di P. Vanzan pagg. 191/192.

[3]  Lettera di Giovanni Palatucci indirizzata al Capo della Polizia della RSI, Tullio Tamburini del  26 luglio 1944, tratta da “Giovanni Palatucci il Questore “giusto” di P. Vanzan pag. 197-198

[4]  “Giovanni Palatucci il Questore “giusto” di P. Vanzan pag. 203

[5]  “Giovanni Palatucci il Questore “giusto” di P. Vanzan pag. 219

[6]  “Giovanni Palatucci il Questore “giusto” di P. Vanzan pag. 59.

[7]  “Giovanni Palatucci il Questore “giusto” di P. Vanzan pag. 197

[8]  “Giovanni Palatucci il Questore “giusto” di P. Vanzan pag. 202